Risarcimento del danno morale al padrone del cane
Ecco un esempio di risarcimento del danno morale subito dal padrone di una cagnolina a causa di un imperito veterinario.
L’intervento del veterinario è andato male e ha reso zoppo l’animale, così il padrone non potrà mai fare le passeggiate che sognava con il suo cane; e la sofferenza non è legata alla “qualità” dell’animale: è uguale che sia un bastardino o un cane con pedigree. Il Tribunale di Genova ha quindi condannato in primo grado il veterinario imperito a risarcire non solo i costi sostenuti dal proprietario per rimediare all’operazione andata male, ma anche il dolore che questi ha patito, quantificato in 4.500 euro.
La giurisprudenza sul danno morale in casi del genere non si è espressa molte volte ed è comunque sempre stata legata alla morte dell’animale: quindi un risarcimento per la “sola” sofferenza sta facendo grande notizia.
Il calvario è cominciato cinque anni fa quando la padrona prende una meticcia di pochi mesi da un canile. Poco dopo si accorge che la cagnolina zoppica e così si rivolge a uno studio veterinario di fiducia. L’intervento dovrebbe, secondo i medici, sistemare definitivamente l’anca della cagnolina ma, dopo tre settimane di convalescenza, il cane ancora non cammina bene e si trascina la zampa operata, torcendola in modo innaturale. Per il veterinario è solo un disturbo temporaneo, ma il cane continua a peggiorare, perde muscolatura, deve essere trasportato in braccio e si morde in continuazione la zampina a causa del dolore. Altri specialisti, quindi, accertano che la bestiolina ha subito una lesione del nervo sciatico e va operata nuovamente, ma le possibilità che possa tornare a camminare normalmente sono scarse.
La proprietaria fa dunque causa allo studio veterinario responsabile, chiedendo il risarcimento del danno patrimoniale subìto (ossia le parecchie migliaia di euro spese per le nuove cure) ed anche del danno morale. Perché la padrona non si dà pace a vedere soffrire così la sua amata cagnolina. Secondo il convenuto, il cane è invece una semplice “res”, una cosa, e deve quindi ragionarsi come per un televisore o un’automobile: non avrebbe senso una riparazione molto più costosa del valore stesso del bene. E il valore del cane, secondo la difesa del veterinario, sarebbe “pari a zero”, poichè “non di razza e adottato al canile”.
La decisione del giudice fa scuola e dà ragione alla proprietaria. La signora ha speso migliaia di euro per alleviare le sofferenze dell’animale ed è quindi evidente l’obiettivo di instaurare con lei “una relazione durevole negli anni” e farla entrare nel suo “progetto di vita familiare”. Non solo: le limitazioni motorie future hanno pregiudicato in toto il progetto di vita, oltre a produrre “ansia” e “patimento”.
Quindi è il rapporto animale domestico – padrone a guadagnare sempre maggior importanza anche per i Giudici, i quali ora, finalmente, iniziano a non considerare più l’animale domestico come una semplice “res” ma come un essere vivente che interagisce col mondo che lo circonda: il cane è un membro della famiglia a tutti gli effetti, che sia di razza o di “canile”.
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desidererei avere il numero della sentenza e l’anno atteso che non sono riuscita a rinvenirla da nessuna parte.
grazie
avv. Antonia D’Alessandro