Responsabilità del proprietario per danni cagionati dal cane
Con una recentissima sentenza, la Cassazione torna sul tema della responsabilità del proprietario del cane che cagiona un danno, affermando che a risponderne è solo chi ha un’apprezzabile relazione con l’animale.
Responsabilità del proprietario di un animale nel Codice Civile
Sul tema, la norma fondamentale è rappresentata dall’art. 2052 c.c. che così recita: “il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.
Il suddetto articolo configura, dunque, una responsabilità giuridica a carico del proprietario o dell’utilizzatore dell’animale e stabilisce anche che il danneggiato deve limitarsi a provare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e il danno, incombendo sul danneggiante la prova del caso fortuito.
Inoltre, si evidenzia che, in mancanza di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, comprensivo del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato, la responsabilità resta imputata a chi si trova in relazione con l’animale perché ne è proprietario o perché ha comunque un rapporto di custodia sul medesimo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con sentenza n. 19506 del 19/07/2019.
Il caso di un bambino aggredito da un cane
La vicenda riguarda un bambino assalito da un cane all’uscita dalla celebrazione della messa presso un convento; il cane, uscito dalla porta del convento, aveva abbaiato e ringhiato nei confronti del bambino costringendolo a una rovinosa caduta ed, in seguito, alla fuga.
I genitori del bambino, in proprio ed in qualità di esercenti la potestà genitoriale sul minore, proponevano azione giudiziaria con richiesta di risarcimento dei danni sia al sacerdote che aveva la responsabilità del convento sia alla sua collaboratrice e proprietaria del cane.
Il Tribunale adito, disposta una CTU medico-legale e sentiti i testi, rigettava la domanda nei confronti del sacerdote e condannava la proprietaria del cane al risarcimento del 50% dei danni totali, stimando che per il residuo 50% la responsabilità del danno doveva essere eziologicamente ricondotta ad una imprudenza del bambino o ad altro elemento esterno quale la conformazione delle scale dalle quali era caduto scappando via, di corsa, dal convento.
La pronuncia della Corte d’Appello
La Corte d’Appello confermava, sull’an, la responsabilità della sola proprietaria del cane escludendo il sacerdote, mentre sul quantum riteneva di imputare alla proprietaria del cane l’intero obbligo risarcitorio, escludendo di poter attribuire valenza di concausa alla disattenzione del bambino o ad altri fattori integranti il caso fortuito.
La decisione della Corte di Cassazione
Veniva successivamente investita della questione la Suprema Corte con ricorso fondato su quattro motivi.
Sulla base dell’accertamento operato dalla Corte di Appello, insindacabile dai giudici di legittimità, secondo cui il sacerdote pur responsabile del convento non aveva un’apprezzabile relazione anche solo di fatto con il cane, la Corte di Cassazione ha confermato l’assenza in capo allo stesso di responsabilità per omessa custodia dell’animale.
Richiamando l’art. 2052 c.c., gli Ermellini hanno ribadito che in mancanza di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, la responsabilità resta imputata a chi si trova in relazione con l’animale perché ne è proprietario o perché ha comunque un rapporto di custodia sul medesimo.
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