Cani e separazione: bisogna provare il legame affettivo
Che gli animali domestici siano ormai ufficialmente membri a tutti gli effetti della famiglia è innegabile, basti pensare a quante sempre più persone decidano di accoglierne in casa uno (o più). Si tratta di preziosi compagni di vita e il tempo passato con loro sembra essere sempre troppo poco, specialmente quando va diviso con una persona che non fa più parte della nostra quotidianità a causa di un legame affettivo concluso. Per questo, sempre più spesso, la giurisprudenza si è trovata a dover dirimere questioni aventi ad oggetto proprio un animale conteso da due ex partner che reclamavano ciascuno la proprietà sul fedele amico e il diritto a passare del tempo con lui.
In una recente sentenza la Corte di Cassazione ha stabilito che la proprietà del cane conteso spetta al legittimo proprietario non per il fatto di esserne il proprietario sulla carta, ma perché l’ex compagna non ha saputo dimostrare di avere un legame effettivo con il quadrupede.
Cani e separazione: la vicenda processuale
Tutto ha inizio quando la ricorrente cita in giudizio davanti al tribunale di Padova l’ex compagno chiedendo che venga accertata la sua qualità di comproprietaria del cane: l’animale era, infatti, stato intestato a lui ma acquistato durante la relazione sentimentale tra i due, motivo che spinge la donna a chiedere il suo affidamento comune e il risarcimento dei danni emotivi e patrimoniali patiti a causa della lontananza dallo stesso. I giudici di primo grado accolgono parzialmente la domanda ritenendo che, seppur la proprietà del cane fosse dell’ex compagno, fosse da riconoscere l’interesse dell’animale a frequentare la donna. In secondo grado la corte d’Appello, invece, rigetta tutte le domande dell’attrice e condannandola al pagamento delle spese di lite.
Il ricorso in Cassazione
Impugnata la sentenza di secondo grado, la tesi che la donna sostiene in Cassazione circa la sua co-proprietà del cane però non regge: per gli Ermellini i giudici della corte d’Appello hanno già correttamente valutato che, a differenza dell’ex compagno, la ricorrente non è stata in grado di dimostrare il suo rapporto col cane se non mostrando alcune fotografie che la ritraevano assieme all’animale, senza produrre certificati veterinari o spese sostenute nel tempo.
Per i giudici il diritto di visita è stato correttamente negato, essendo basato sulla carenza di prova “dell’instaurazione di un rapporto significativo tra la ricorrente e il cane, vista la breve relazione sentimentale che l’aveva legata al suo padrone”.
Se non c’è legame affettivo non c’è diritto di visita
Nello specifico, la sentenza riporta le motivazioni di secondo grado, le quali spiegano che “la coppia non costituiva famiglia di fatto, né era definibile quale nucleo familiare in cui l’animale si trovava inserito. Si trattava di una relazione sentimentale molto breve che non aveva condotto le parti nemmeno alla convivenza. L’appellata non ha provato che, nonostante il breve periodo, si sia instaurato con l’animale un rapporto tale da far presumere che le possa essere riconosciuto un diritto di visita nei confronti dell’animale”. Per poter godere del “diritto di visita”, quindi, nel caso di animali domestici è necessario provare il legame affettivo che lega la richiedente al quadrupede.
Per quanto riguarda il pagamento delle spese di lite, decisione che la ricorrente ha impugnato, la Cassazione riconosce la sua illegittimità, disponendo che le spese vadano compensate per intero tra le parti, motivo per cui la sentenza viene cassata in relazione all’unica censura accolta delle spese.
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