Errata diagnosi? Se il cane muore la colpa non è tutta del veterinario
Nel numero di maggio di Quattro Zampe parliamo della responsabilità del veterinario in caso di errata diagnosi e morte del cane.
Dopo la morte di un cucciolo, il Tribunale della Spezia ha riconosciuto la responsabilità congiunta tra il proprietario del cane e la Clinica veterinaria che non ha riconosciuto la causa del malessere dell’animale, deceduto a seguito di un’occlusione intestinale dopo aver ingerito 6 tettarelle di gomma.
È importante segnalare che il Giudice in questione ha anche riconosciuto un risarcimento a titolo di danno morale per la perdita del cucciolo.
Il caso: errata diagnosi da parte del veterinario
Nel caso di oggi i proprietari di un cucciolo di cane convengono in giudizio davanti al Tribunale della Spezia la Clinica Veterinaria cui si erano affidati, accusandola di non aver agito correttamente nella diagnosi al proprio cane, deceduto precocemente dopo aver ingerito 6 tettarelle di gomma. Secondo l’accusa dei proprietari la clinica non avrebbe eseguito tutti gli esami necessari per una corretta diagnosi, dimettendo più volte l’animale senza la dovuta perizia: per questo motivo gli attori lamentano sia danni patrimoniali (per il valore economico dell’animale e le spese mediche sostenute e ingiustamente versate alla clinica) sia danni non patrimoniali (per la perdita dell’animale di affezione che aveva cagionato disturbi psicologici alla figlia minore di due anni).
Gli attori concludono il ricorso chiedendo il riconoscimento dell’esclusiva responsabilità della clinica per la prematura morte del cane.
I titolari della clinica si costituiscono in giudizio contestando l’accusa dell’esclusiva responsabilità in capo a loro dal momento che “la prestazione professionale era stata resa da un medico veterinario che non era alle dipendenze dello studio associato”. Quanto alla ricostruzione dei fatti, i titolari della clinica rilevano che “i parametri del cucciolo al momento della visita erano nella norma e non emergeva dagli esami svolti la presenza di corpi estranei a livello gastroenterico”.
I convenuti evidenziano anche che “il cane era deceduto per aver ingerito ben 6 tettarelle di gomma per cui non era ravvisabile alcuna responsabilità del veterinario, che aveva esperito tutte le manovre cliniche necessarie, integrandosi per contro un’esclusiva responsabilità della controparte che non aveva vigilato sulla povera bestiola”.
La prova del danno medico
Nel caso di specie trovano applicazione tanto i principi generali dettati in tema di responsabilità contrattuale quanto gli specifici principi dettati in materia di responsabilità medica per cui “incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia e l’azione o l’omissione dei sanitari mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile con l’ordinaria diligenza (Cass. N. 26700/2018)”.
Nel caso concreto i proprietari hanno allegato l’esame dalla clinica durante una delle visite, lamentandone l’insufficienza e sostenendo che ulteriori accertamenti avrebbero potuto consentire di rilevare oggetti estranei nel corpo salvando la vita del cucciolo.
A sostegno di questa tesi viene disposta una consulenza medico veterinaria di parte per accertare la sussistenza degli inadempimenti della clinica: il perito riconosce una responsabilità della struttura nel decesso del cane, considerando che il procedimento corretto avrebbe previsto approfondimenti diagnostici che avrebbero portato alla corretta diagnosi di occlusione intestinale. In tal senso “non può condividersi quanto affermato dalla clinica secondo cui la responsabilità del decesso sarebbe esclusivamente ascrivibile al medico veterinario (non dipendente della clinica) che aveva avuto in cura l’animale”.
Nella sentenza 660/2020 del Tribunale della Spezia viene specificato anche che “ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi non solo in caso di lavoro subordinato, ma anche quando per volontà di un soggetto un altro esplichi un’attività per suo conto”. Ciò non esclude la responsabilità in capo gli attori di non aver badato adeguatamente al cane, tanto da avergli permesso di ingerire 6 tettarelle di gomma senza neppure accorgersene: è così riconosciuto un concorso di colpe che ha portato all’infausta fine del cucciolo.
Riconosciuto un concorso di colpa tra clinica e proprietari
Secondo i giudici, effettuato un esame di tutti gli elementi, è giusto ritenere una responsabilità paritaria delle parti nella determinazione del decesso dell’animale e dei conseguenti danni.
Viene quindi ritenuta provata la responsabilità della clinica nella misura del 50%, mentre il restante 50% è addebitabile al concorso colposo dei proprietari (ex art. 1227 c.c.).
Il riconoscimento del Giudice del rapporto cane-padrone
Nonostante non vi sia, ancora, una normativa chiara in materia, nell’esaminare il caso il giudice ha dato espressa rilevanza il rapporto cane-padrone condividendo l’orientamento giurisprudenziale che sottolinea come “il rapporto tra padrone e animale debba essere oggi ritenuto espressione di una relazione che costituisce occasione di completamente e sviluppo della personalità individuale e come vero e proprio bene della persona, tutelato dall’art. 2 della costituzione. Con la conseguenza che, dove provato, il danno non patrimoniale da perdita o lesione dell’animale d’affezione può e deve essere risarcito” (Trib. Torino n.6296/2012).
Riconoscimento del danno
Per quanto attiene al risarcimento economico richiesto dai proprietari del cane viene riconosciuto il danno patrimoniale pari al valore venale dell’animale prima del decesso e le spese affrontate dalla parte per accertamenti medico legali.
Il danneggiato, che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale, è tenuto a provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di sofferenza patita a causa della perdita dell’animale d’affezione. Nel caso concreto ai proprietari viene riconosciuto il danno che la morte del cane ha arrecato alla figlia minore, provato in giudizio con una relazione psicodiagnostica di parte. In questo caso il danno è conteggiato in un importo di 1000 euro. Complessivamente è quindi riconosciuto un danno complessivo derivante dalla morte dell’animale di 3.756 euro (di cui 2756 a titolo di danno patrimoniale patito dall’attore e 1000 a titolo di danno non patrimoniale patito dalla figlia minore).
In virtù delle rispettive responsabilità però il danno che dovrà pagare la clinica va quantificato in una somma pari alla metà dei danni complessivi individuati, dovendo quindi i titolari della clinica risarcire complessivamente agli attori l’importo di 1878,05 euro.
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