33 gatti in casa: la Cassazione conferma la condanna
Il rischio di avere un cuore troppo grande è lo stesso di averne uno troppo piccolo: cadere in errore. Se in un appartamento vengono detenuti 33 gatti, che sia per amore e per la volontà di salvarli tutti dalla strada, o che sia per atavica e malevola voglia di maltrattarli, secondo la legge il rischio è comunque quello di incorrere in abbandono di animali.
Il processo alla donna dei 33 gatti
Il 21.11.2017 il Tribunale di Milano ha condannato una donna per abbandono di animali (ex art. 727 c.p.) perché deteneva nel proprio appartamento 33 gatti, che – secondo i giudici – vivevano in modalità tali da subire gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, in ragione delle condizioni di sovraffollamento degli animali e delle pessime condizioni igieniche dell’ambiente abitativo.
Il ricorso della donna in Cassazione
A seguito della condanna la donna decide di impugnare la sentenza sostenendo che il Tribunale non avesse svolto i necessari accertamenti per verificare la sussistenza di un effettivo malessere sofferto dai gatti, seguendo l’automatismo secondo cui 33 gatti in abitazione equivarrebbe a sofferenza per gli stessi.
In secondo luogo, la donna denuncia un vizio di motivazione e travisamento della prova, lamentando l’erronea e parziale valutazione delle prove apportate dalla difesa (come l’acquisto di cibo differenziato a seconda dell’età degli animali, allegazioni ritraenti questi ultimi antecedentemente all’accertamento), che evidenziavano la cura e l’attenzione con cui la ricorrente si prendeva cura di ciascuno dei sui 33 gatti. Inoltre, secondo la donna non era stata valutata né la consulenza tecnica di parte, la quale sosteneva che le patologie dei gatti potevano essersi successivamente manifestate per ragioni diverse da negligenza nella cura o sovraffollamento, né le testimonianze di due testi, le dichiarazioni dell’imputata e la documentazione sanitaria degli animali, dimostrative della cura per gli stessi.
La decisione dei giudici di legittimità
La Cassazione con sentenza n. 1510/2019 reputa i motivi del ricorso inammissibili, ritenendo che espongano censure puramente contestative le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, non riconoscendo i giudizi vizi di logicità, ricostruzione e valutazione della decisione precedente. I giudici concludono pertanto dichiarando inammissibile il ricorso.
Viene inoltre ricordato che la detenzione di animali integrante la fattispecie di cui all’art. 727 c.p., costituisce reato rientrante nell’ipotesi di cui all’art. 240 c.p., in base al quale deve essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengono a persone estranee al reato.
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